Le mie “abitudini” da pellegrino: i riti e i cani

Alla fine di ottobre 2019 ho percorso il Cammino di Oropa, quattro giorni di cammino in Piemonte. Un “pellegrinaggio di ringraziamento” per la pensione e di riflessione per il futuro. Ho tenuto un Taccuino… alcuni pezzi mi sembrano “pubblicabili” perché, forse, utili a qualcun altro oltre che a me che li ho scritti.

2/11/2019 – ore 18,00 – Graglia
In effetti, se non proprio da monaco, una cella da frate al monastero di Graglia ci sta bene, per di più è dedicato alla Madonna di Loreto, con una statua simile alla nostra, ma con una veste diversa.
Anche oggi ho imparato almeno due cose.
Ho ritrovato i gesti e le consuetudini del pellegrino. Non si ritrovano subito, all’inizio di un cammino, ma dopo un paio di giorni.
Per me sono “abitudini” che danno sicurezza, che scandiscono i tempi e ai momenti, che ti aiutano nei momenti difficili perché sai dove hai messo quella cosa da prendere in fretta. L’abitudine di sistemare con ordine le cose nello zaino mi viene non tanto dallo scoutismo in sé, ma da quanto mi è rimasta in mente una storia di Baden Powell in cui, più o meno, un ragazzo si era “salvato” da non so cosa perché si era potuto rivestire al buio, avendo sistemato in modo ordinato i vestiti. Qualcuno potrebbe dire che da lì sono nate anche la mia pignoleria e l’assertività… può essere.
Gli automatismi per prendere e riporre la macchina fotografica (non faccio le foto con il cellulare, neanche gli autoritratti che non sono selfie), l’acqua o stringere le cinghie… E poi all’arrivo di tappa: bustina di magnesio e potassio, lavaggio panni (qui no), doccia, riposo, sguardo alla tappa successiva… E poi alla mattina, con la polvere di Timo per i piedi, l’allacciatura degli scarponi, lo scaldacollo. Non ho “risolto” la questione dei bastoncini, tendo a dimenticarli (anche a Roppolo, l’altro ieri) per cui li incastro con lo zaino o ci metto il cappello sopra…
Ho ritrovato la paura dei cani, in genere attraversando i paesi, ma per fortuna erano tutti chiusi dietro i cancelli. Oggi no, i latrati dei cani mi hanno accompagnato per molti chilometri, mentre percorrevo i sentieri tra i castagni, coperti di foglie e di ricci (che impedivano di vedere sassi e massi con rischi di “storte”). Non erano per me, ma me li sentivo “addosso”. Ad un certo punto ho trovato un prato per fare pranzo, al lato della provinciale, in salita verso Graglia; sulla strada sono comparsi, a 100 m., due cani pastori (forse scozzesi, avevano macchie marroni); abbaiavano minacciosi; come provavo ad avvicinarmi avanzavano, se indietreggiavo si fermavano… A quanti metri di distanza i cani sentono la mia paura? Un paio d’ore prima un altro cane, in effetti simile, si era avvicinato con i gesti di “sottomissione”, lungo per terra e, visto che non ero pericoloso, ha cominciato a saltare e giocare.
Questi no. Ho con me un inutile aggeggio ad ultrasuoni, che ho già verificato il primo giorno che non funziona. Non ci provo neanche a passare; decido che aspetto un auto e chiedo un passaggio visto che sono su una strada asfaltata, anche se è frequentata pochissimo.
Nell’attesa ci riprovo, ma sono proprio arrabbiati. Dopo una decina di minuti passa Nella, cameriera, che va a lavorare in un ristorante vicino. Mi carica, mi dice che sono della Elsa, una signora un po’ strana che vive lì vicino e che i cani si avventano anche sulle macchine. In effetti è così e, mentre passiamo, vedo che uno ha una zampa ferita, forse “pestata” da un’auto. Forse erano più arrabbiati per quello.
Sono stato fortunato? Forse, però ero abbastanza calmo, fiducioso… prima di notte sarebbe passato qualcuno.
Un paio d’ore dopo sono passati 10 camminatori di vicino Torino; i due cani non li hanno nemmeno visti… erano per me, che ero da solo; perché ero da solo? La prossima volta come andrà?
Non devo/posso più camminare da solo? Non ci penso fino alla prossima volta.

Le mie “abitudini” da pellegrino: i riti e i cani
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